Il personaggio del “ciarlatano” per secoli re della piazza

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Il Ciarlatano, chi era?

Un artista, re della piazza, maestro della sottile arte dell’inganno

Il termine “ciarlatano” non deve essere assunto con il significato dispregiativo. Il ciarlatano, nell’ambito della Fiera, è stato sempre un artista, anche se nell’esplicare la sua arte faceva uso di una buona dose di furbizia spregiudicata, che però era quasi sempre palese agli interlocutori. (…) In realtà il popolino ha sempre lasciato fare senza dir nulla, perché nella maggior parte dei casi, nel suo intimo era conscio di farsi beatamente adescare: accettava la sfida e regolarmente ma consapevolmente soccombeva.

“Tutte attività quelle del ciarlatano, furbesche dell’antico mondo dei “dritti”, appunto nel significato di “furbi”, esplicate nell’intento originario di sbarcare il lunario con poca fatica. Il che andava a scapito di occasionali vittime che con arte venivano spennate senza farle gridare. Si trattava in sostanza di piccoli alleggerimenti delle tasche: cioè pochi spiccioli in cambio di una promessa mirabolante, di un appagamento irraggiungibile o di qualcosa che veniva fatto sognare ad occhi aperti. Tutto sommato un gioco abbastanza accettabile

Giancarlo Pretini, storico (Dalla Fiera al Luna Park, Trapezio, Udine, 1984, p. 243)

Per dare una testimonianza concreta del linguaggio roboante che il ciarlatano usava per indurre il pubblico a comperare i suoi miracolosi farmaci, riportiamo qui di seguito parte del testo “Il ciarlatano”, scritto dal poeta Giuseppe Gioachino Belli.

Il ciarlatano

Testo tratto dal manoscritto “Il ciarlatano”, cicalata che l’Autore stesso, Giuseppe Gioachino Belli (Roma 1791-1863), recitava in strada tra la gente di Roma, nel periodo di carnevale.
Pubblicato da G.Pretini in Immaginifico, anno II° n° 6, Trapezio Libri, Udine 1994

Colto e rispettabile pubblico, popolo infermiccio di Roma, rallegratevi alfine, che il celebre, umilissimo Gambalunga è fra voi. Eccolo quel vostro servo che avete tanto aspettato, che con l’aiuto del cielo ha operato tante operazioni a profitto della povera umanità. Signori illustrissimi, io sono fra voi.

La mia scienza mi permette di esercitare a occhi chiusi, su qualunque corpo umano o inumano, la medicina, la chirurgia, la patologia, la geografia, la farmacia, l’ortografia, la zoologia, la gastronomia, la litografia, la ostetricia, la veterinaria, la botanica, la meccanica, l’idraulica, e finalmente la storia naturale e l’universale…

Ora si presentino qui quei saccentuzzi della malignità e dell’invidia ad applicarmi quel nome obbrobrioso che io non so ripetere senza inorridire, quel nome plateale di ciarlatano! Come! Ciarlatano?! Ci burliamo, o signori? Ciarlatano all’autore di tante guarigioni spontanee della natura? Ciarlatano poi a me, che vengo or ora da Santafè di Bogdà per curarvi i cancheri che vi rodono, per far ritornare in gioventù i vecchi poveri, per accelerare i benefici dei testamenti e delle eredità, per ridare il colorito agli amanti, per far guerra infine alla morte? Ingrati uomini! Ciarlatano si dica a quegli impostori che mercanteggiano favole per verità, acqua fresca per farmachi. Io non sono un ciarlatano; io non sono un asino, come voi, rispettabile pubblico, forse pensate: io sono il Gambalunga, patentato e licenziato da tutti i paesi…

Eccomi a salvarvi tutti da tutti i malanni, o siate infermi o siate sani, o uomini o donne, o giovani o vecchi, o grandi o piccoli, ricchi o poveri, o belli o brutti, o nobili o plebei. Tutti io guarisco non badando a distinzioni di grado, di età, di sesso o di fortuna: parla in me la voce della carità; ed io non vengo qui da Milano per milantare, non dal Lusitania per lusingare; ma vengo dal Paraguai per pararvi i guai, dalla Servia per servirvi; perchè altri popoli mi scrivono lettere accavallate affinchè io corra correndo a soccorrerli. Approfittatevi dunque, o fratelli, approfittatevi di questi pochi giorni che il cielo vi concede di avermi sui vostri colli.

Mi restano soltanto poche caraffe del mio portentoso elixir. Eccolo qui il centro mirabile di tutto lo scibile della medicina teoretica e pratica. Eccovi il campacentanni, il semprevivo, la genuina porta della salute. Questo rimedio è il vero balsamo, il vero fluido, il vero cerotto, il vero unguento. Questo restringe e rallenta, indebolisce e fortifica, riscalda e rinfresca, corregge e promuove, simpatizza e antipatizza, risveglia e addormenta.

Giova interiormente ed esteriormente alle febbri, alla emicrania, ai mali agli occhi, di naso, di orecchie e di bocca, ai parti difficili, alla rogna, alla lebbra, ai foruncoli, alle scottature, ai tumori, alle paralisi, al torcicollo, alle rotture di gambe anche in sei pezzi, ai calli, alle unghie incarnite, al dolor dei denti che fa cadere e tornare fino all’età di cento anni, alle bastonate maschili e agli schiaffi femminili.

Tinge i capelli e li fa crescere, conserva le carni morbide e fresche, procura bellezza, apre la vena ai poeti, matura i calcoli ai matematici, rischiara la vista ai medici, rende flessibili le vertebre dei cortigiani, fa pazienti gli uomini, costanti le donne e docili i bruti. Risveglia inoltre la memoria, para i fulmini, manda l’acqua all’insù, rende i sogni veridici, fa vincere al lotto, preserva dalle cascate, paga i debiti, dà ragione a chi ha torto, apre finalmente gli occhi sui difetti altrui e li chiude sui propri. Correte dunque, correte, o bisognosi al mio Elixir, che da me si vende gratis, cioè ai grati. Intanto favorisca al mio albergo della Stelletta chi vuol cavarsi i denti. Saranno serviti a buon prezzo: un mezzo scudo a dente: e chi se ne caverà dieci avrà l’undicesimo gratis”.