Curiosità nella Piazza

Gustavo Cottino (1923-2010)

Impresario di Luna Park e imbonitore di piazza Il più grande venditore di illusione

Le baracche d’entrata e d’improso (imbroglio) fra ‘800 e ‘900, furono le prime forme di spettacolo e di divertimento della piazza. Offrivano dentro a padiglioni di legno singolari attrazioni: spettacoli con animali, fenomeni umani, giochi di prestigio, cinema muto, acrobazie, esibizioni artistiche, di forza, di abilità, di coraggio e anche di illusione, di cui fu grande, unico e impareggiabile maestro Gustavo Cottino.

Gustavo Cottino, piemontese di Pinerolo, ma cittadino del mondo, nella sua lunga carriera di imbonitore, presentò tutti i “mostri” del luna park: la donna-cobra, l’uomo-rana, i giganti, i mangiatori di fuoco, i più curiosi fenomeni umani e persino l’uomo delle nevi come mostro del Kilimangiaro: in realtà era un povero disgraziato che lavorava nel porto di Genova. Fu vestito da Cottino con una pelle di animale, messo in gabbia e presentato al pubblico come evento del secolo.

L’inganno più eclatante fu, però, la presentazione della gigantesca “Balena Goliath” che veniva trasportata su di un autotreno per tutta Europa e Medio Oriente negli anni ’70. Cottino raccontava con squisita arte oratoria che la balena era stata catturata nei mari del nord e trasportata su nave in Francia, dove un eminente professore tedesco, dopo aver tolto tutte le interiora, immerse il cetaceo “Goliath” in ben 7000 litri di formalina. Poi cominciò a viaggiare per il mondo, affinché il mondo vedesse come sono le balene. Cottino poi rassicurava che per conservare il cetaceo alcuni specialisti ogni tre giorni iniettavano a “Goliath” grossi quantitativi di formalina.

La più grande “bidonata” di Gustavo Cottino: la balena “Goliath” di cartapesta, lunga 22 metri rinchiusa in un camion articolato.

La gente accorreva incuriosita e tratta in inganno da una gigantesca balena, che in realtà era di cartapesta, su di un lunghissimo autotreno che, ad arte, sapeva anche puzzare di pesce.

Trasporto per mare della balena Goliath di Gustavo Cottino

La Stampa, 23 giugno 1972.

Questa era la vita straordinaria di un grande attore uscito dalla Commedia dell’Arte. Questo è stato Gustavo Cottino, un imbonitore di piazza, ma soprattutto un poeta dell’immagine, un architetto dell’immaginario e il più grande Venditore di Illusioni.

Il Gigante Atlas con l’impresario Gustavo Cottino, il più grande venditore di illusioni

Auditorium di Edenlandia, Napoli. Daniele Piombi consegna un premio a Gustavo Cottino: viene riconosciuto a Cottino il merito di aver trasformato il baraccone della Fiera in vero teatro.

Nino, l’uomo Ercole

in una suggestiva esibizione del primo ‘900

Ecco qui in una cartolina pubblicitaria del primo novecento un’incredibile prova di forza. Per tutto l’800 e fino ai primi decenni del ‘900 le esibizioni di forza da parte di uomini forzuti, denominati Ercoli, hanno reso celebri le Fiere di quel tempo, richiamandovi folle estasiate.

Un famoso “Ercole” era Nino, che si esibiva in esercizi incredibili: con la schiena riusciva a sollevare l’affusto di un cannone; issato sopra apposite intelaiature, riusciva ad alzare tre cavalli o anche due automobili cariche di persone come potete vedere in quest’immagine.

All’interno delle Fiere erano disseminate anche tante prove di forza per i visitatori che volevano cimentarsi nel lancio del trenino o del siluro o nel gioco della mazza in gare fra amici per misurare esattamente la loro forza e affermarsi nei confronti di sé stessi e in rapporto agli altri.

Nei secoli scorsi, mentre la nobiltà si divertiva in cacce e tornei cavallereschi, il popolo si dedicava agli svaghi offerti dalle Fiere, che erano centri di aggregazione sociale e di scambio culturale.

Spettacolo di Giovanni Bartot, veneto, mangiafuoco e strappacatene, 1957.

Le esibizioni di questa “Gente delle fiere” non erano frutto d’improvvisazione: esse erano costate lunghi anni di allenamento e di sacrifici di cui non sempre è possibile ad un profano intendere le sofferenze. A volte gli strappacatene si esibivano in loro baracconi assieme ad una troupe di atleti che presentavano un repertorio di giochi: sollevamento pesi, rottura di macigni con la violenza del pugno, sostegno di pesi con la forza delle mascelle, ecc.

Storia di vita di Nicola Pisan

suonatore ambulante di organetto di Badia Polesine, intervistato da Marino Marini, collezionista di strumenti musicali meccanici.

L’industriale romagnolo Marino Marini (1907-1985) è stato un appassionato collezionista di strumenti musicali meccanici. È riuscito a raccoglierne ben 600 di tutti i tipi, cercandoli in tutto il mondo, spinto dal desiderio di realizzare una grande collezione di strumenti in grado di stimolare sia l’amore per la musica, sia l’interesse per la geniale meccanica che consentiva la produzione automatica del suono e la fruizione “popolare” di ogni tipo di musica.

È proprio il collezionista Marini che acquista negli anni ‘60 l’organetto di Nicola Pisan di Badia Polesine, uno degli ultimi suonatori che abbandona il mestiere di ambulante, come tanti altri, in un mondo radicalmente cambiato dalle nuove tecnologie.

Lasciamo la parola a Marino Marini che ci presenta il suo mondo di strumenti e suonatori con grande sensibilità e amore per un mondo che non c’è più. Leggiamo poi la commovente storia di vita di Nicola Pisan, uno fra gli ultimi suonatori ambulanti, raccontata in prima persona in un’intervista effettuata da Marino Marini.

Marino Marini

Sotto questo dignitoso nome, Piano a cilindro (qui rappresentato in miniatura), si nasconde forse il più popolare, il più romantico ed umano strumento musicale. Intorno a questo strumento scorrono oltre cento anni di vita ispirata ad un romanticismo scomparso, tramandando inni di gloria e melodie intramontabili.

Ai nipoti e ai giovani di oggi potremmo incominciare col dire: C’erano una volta… uomini che giravano su ciottoli in strade polverose e, ponendosi fra le stanghe, tiravano a mano un carretto con sopra un organino per allietare la gente. Pochi i fortunati che potevano disporre di un asino o di un ronzino per il traino del carretto; questi erano chiamati suonatori ambulanti, non avevano casa ed alla sera chiedevano ospitalità in case di campagna sotto alla loggia o nella stalla. Per il contadino era un avvenimento raro; in quella occasione si improvvisavano nell’aia festini da ballo.

Oggi i piani a cilindro sono oggetto di antiquariato. La ricerca non è facile, e, una volta trovati, resta il problema di farli suonare.

Se andate a Napoli e chiedete dei “piani a cilindro”, non sapranno dirvi cosa sono, ma se chiedete dei “pianini”, allora sì!

In Lombardia come in Francia sono conosciuti con il nome di “Organetti di Barberia”, nel Veneto come “Verticali”, nel mantovano come “Viole”, in altri centri come “Organi o Pianole”.

Questi poveri strumenti, di una povera vita su strade polverose piene di buche, sono arrivati a noi sobbalzando, con tanti acciacchi e mangiati dalle tarme e dai tarli. Anche allora, a causa della vita randagia e per mancanza di assistenza, raramente erano in grado di dare il meglio di sé stessi. (Ricorderete il pianino stonato nel magnifico film “La Strada” con la bellissima interpretazione della Masina). Le molte stonature potevano far credere ad una vera caratteristica di questo strumento.

La strada e i cortili erano l’uditorio preferito; il suonatore con una mano girava la manovella, con l’altra, tenendo in mano il cappello, invitava i passanti a cedere qualche monetina. L’obolo veniva anche dall’alto, dai balconi o finestre ed i cinque, dieci o venti centesimi erano avvolti in pezzi di carta perché non andassero perduti”.

Nicola Pisan

“Ho incominciato nel 1923, perché allora gli affari andavano male, ero povero, ero ritornato a casa da militare e no ghera niente. Alora semo pensà mi e mi molie: volemo comprà un organeto? Li avevo visti qualche volta in paese e anche da militare, in Friuli e in Francia (ho combattuto sulla Marna) e ricordavo come facevano entusiasmare. Così semo andati a Bologna, che là c’era la Ditta Simoni, avemo comprà l’organeto e l’emo tirà a casa a mano e per strada, quando incontravo qualche paeseto, mi fermavo a fare una suonatina e dicevo alla molie:

– Va in cerca se ciapi qualche cosa- E lei: – Mi no go corajo- Perché erano le prime esperienze. E allora io: – Fate corajo, bevi qualche bicierin, vedi che il corajo te vien!-

Poi, ritornati a casa, siamo ripartiti ancora per un giro, sempre a piedi, spingendo a mano l’organeto, finché mi sono comprato il somarino e sò andato a girà par el mondo cò la mi molie. Sono andato in tanti posti: Parma, Reggio, Modena, Firenze, Arezzo, Prato, Genova, Savona e poi ho girato dalle parti di Torino, sono stato a Milano e sono venuto dalle nostre parti: Vicenza, Treviso, Pordenone, e poi oltre il Piave in tanti altri paesi e città.

Si prendeva anche qualcosa da mangiare, qualche bicchiere di vino specie nelle campagne. Una volta ricordo che una fattoressa mi vide passare e: – Fermatevi! – disse – fatemi sentire un po’ di musica- e dopo se ne uscì con una coniglia di 4 o 5 chili. Sonavo anche in qualche festa a casa di privati e a volte nei cinema (era il tempo del film muto).

Dei ricordi di quel tempo….. cosa posso dire….. Del lavoro fatto e della vita passata non mi pento e credo che forse la rifarei; certo che c’era la nostalgia di casa, la sofferenza di dover patire le intemperie, il caldo o il freddo, e quei temporali d’estate, che i me faseva scapà da soto el careto. Ne ho fati di sacrifici per guadagnà un franco, ma ho pure visto un toco de mondo. Ho girato città, paesi, campagne e quando la mi molie qualche volta si lamentava, io le disevo: Ma dai, porta pazienza, andemo avanti!

La Romagna poi l’ho fatta palmo a palmo; lì conoscevo tanta gente, gente bona, e me ricordo che una note non trovavo da dormir. E mi andavo dai contadini e disevo: Paron, mi sono qua e ghò l’organeto lì fora; me faccia la carità de darme un posto soto la tetoia; ghe laso l’organeto in consegna, ghe laso il somarin, tuto insoma. E loro: – Caro il mi fiol, se volete un peso de pan, un bicier de vin, ma non son miga mi el paròn. – Tre o quattro famiglie e sempre la stessa risposta. Eravamo in gennaio e nevicava e c’era la mi bambina che avrà avuto un ano e mezo che stava in cima al caretin e mi molie che mi aspettava sulla strada. Arrivo a una casa e dico: Paron, me racomando, me fasa una carità, ha gho una putina sulla strada e la mi more. I laso tuto in consegna, là in cima al careto, me daga un posticin. E quello: – Caro el mi fiol, mi no so el paron, mi no gho posto…. e l’aveva un can lupo, e lo teneva duro par la catena, che se mola la catena el me magna. Salta fuori il vecio, il padre, e dice: – Lasali pasar, poareti, l’è un veneto, poarin, lo sai che i veneti l’è sempre sta bona gente, che mi so sta in guera coi veneti, e dopo Caporetto me davan il leto e loro dormivan per tera. I me dava da magnà e me dava anca la polenta. Se bona gente i Veneti. –  E allora ci hanno fatto dormire in una bella stalla, al caldo, sulle balle di fieno. E la notte il vecio è sceso giù con un gran piatto di prosciutto e un filon de pan.

Eravamo già veci e questo ci portò a smettere di fare i girovaghi. Ora vivo di quella piccola pensione che mi è venuta dal mio lavoro e faccio un pocheto l’ambulante vendendo giocattoli in occasione delle Sagre”.

Il comico cantastorie Dario Mantovani, “Taiadela” (1904-1950)

La vera storia raccontata dal figlio Dino Mantovani

Nato a Ceneselli nel 1904, Taiadela debuttò a soli 24 anni a Castelmassa durante la tradizionale Fiera di San Martino, suonando una vecchia fisarmonica. L’acquisto poi di una motocicletta gli consentì di viaggiare tra Fiere e Sagre, quale spettacolista eclettico, e conquistarsi un vasto pubblico di ammiratori nelle province di Rovigo, Mantova, Verona, Ferrara, Modena, Bologna e Reggio Emilia.

Le imitazioni di “Taiadela”: Stanlio (al centro), il marito geloso, il mediatore, lo scemo, l’ubriaco.

Nato a Ceneselli nel 1904, Taiadela debuttò a soli 24 anni a Castelmassa durante la tradizionale Fiera di San Martino, suonando una vecchia fisarmonica. L’acquisto poi di una motocicletta gli consentì di viaggiare tra Fiere e Sagre, quale spettacolista eclettico, e conquistarsi un vasto pubblico di ammiratori nelle province di Rovigo, Mantova, Verona, Ferrara, Modena, Bologna e Reggio Emilia.

Sagace cantastorie e padrone della piazza, sapeva far commuovere e sbellicare dalle risate un pubblico che, nonostante la guerra e il fascismo, non aveva perso la voglia di ridere. I bisnonni ricorderanno quell’uomo “buffo” che, mentre cantava “Vincere, vincere”, indietreggiava provocando pericolosamente lo sdegno dei fascisti.

Finita la guerra nel 1945, era tempo di grandi progetti e il Cinema stava per portare a Roma Taiadela, quando il 7 settembre 1950 un incidente stradale spense le luci della ribalta per un artista che aveva appena 46 anni.

 

Il comico cantastorie Dario Mantovani, detto “Taiadela” (con sombrero), il cieco Nadir al clarinetto e il figlio Delfino in Prato della Valle a Padova, giugno 1940.

Fra una suonata e l’altra, Taiadela divertiva il pubblico anche con umoristici intrattenimenti. Ecco un esempio: “Due ex soldati – racconta Taiadela – si ritrovano e vanno a festeggiare insieme al ristorante. Mangiano il primo. Tutto bene. Ordinano poi due bistecche. Il cameriere gliele porta in un grande piatto ovale e dice: ”Prego, servitevi!”. Destino vuole ci sia una bistecca più grossa dell’altra. “Prego, prima te!”. “No, prima te!”, finchè uno tira giù e tira giù la più grossa. L’altro ci rimane male e dice: “Sei un bel villano, sai?”. “Perché? – dice l’altro – se eri tu che sceglievi, educato come sei, quale prendevi per primo?” “La più piccola!”. “Beh, ce l’hai lì, cosa vuoi?”.

Risata dei numerosi soldati che assistevano divertiti, ma pronti alla partenza per il fronte della Seconda Guerra Mondiale appena dichiarata.

 

 

Il comico cantastorie “Taiadela”, in piedi su una sedia come era sua abitudine, nell’imitazione di Stanlio.

Taiadela a 48 anni, due anni prima della sua tragica morte.

Il comico Dario Mantovani detto Taiadela ″DI QUA E DI LA’ DAL PO″ La vera storia del grande comico-cantastorie e spettacolista viaggiante, raccontata dal figlio Dino, edita nel 2007 da Graphic Sector S.r.l., (Genova). Presentazione di Vittorio Montanari

Presentazione del libro

Era il giorno di Sant’Anselmo (18 marzo), quando il telefono di casa mia trillò insolitamente di buon mattino. Erano infatti le otto circa e la voce maschile all’altro capo del filo, a quel momento sconosciuta, disse di essere Dino Mantovani, figlio di Dario Mantovani, il celebre cantastorie, imbonitore, caratterista e comico, conosciuto come Taiadela, che fino a non molti anni prima calamitava le folle sui mercati e sulle fiere del Mantovano e di tante altre province con la sua arguzia, le sue battute, le sue barzellette, le sue smorfie e le sue canzoni che eseguiva accompagnandosi alla fisarmonica.

Il motivo della telefonata era che Dino Mantovani aveva letto sulla “Gazzetta di Mantova”, proprio di quel giorno, un mio articolo in terza pagina dedicato a suo padre e pertanto voleva ringraziarmi per la soddisfazione che gli avevo dato.

I contatti telefonici con Dino Mantovani proseguirono nel tempo e fu così che nacque l’idea di scrivere un libro sul padre. E chi meglio del figlio poteva raccontarne la vita? Così nacque il libro “Di qua e di là dal Po” con il sottotitolo “La vera storia del grande comico cantastorie Taiadela raccontata dal figlio Dino”. Quella di Dario Mantovani è una storia nata, si può dire, nel mantovano dove egli era come di casa, seguito e applaudito con simpatia ed entusiasmo dalle folle ch’egli sapeva calamitare attorno a sé.

Sono infatti molti i mantovani con meno capelli scuri e molto più bianchi, rispetto ad allora, che si ricordano di Taiadela, di cui nel libro il figlio Dino racconta un po’ tutto: dai difficili momenti iniziali ai momenti in cui era diventato una celebrità nel vero senso della parola, fino al tragico incidente mortale di Bagnolo Mella (Brescia), mentre era alla guida di una Buick che aveva acquistato ad un’asta fallimentare e che gli serviva per gli spostamenti durante i quali andava a prenotare le piazze sulle quali sostare con il padiglione degli animali esotici che, assieme ai figli, da alcuni anni gestiva dopo aver cessato l’attività di cantastorie.

Dino Mantovani in questa storia dedicata al padre ci fa compiere un tuffo nel passato, accompagnandoci nei tanti luoghi frequentati da Taiadela, in mezzo ad una ricca galleria di personaggi in un contesto che annovera anche gli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale, il pericolo corso allorché cantava “Vincere!” rinculando, a significare che, invece di andare avanti, si andava indietro, cioè che, invece di avanzare, ci si ritirava, l’accoppiata con il cieco Nadir Bernini che suonava il clarinetto e con il quale andava in tandem dicendogli spesso che si trovavano in salita, affinché pigiasse con più forza sui pedali, anche se la salita non c’era.

Il lettore troverà nel libro di Dino Mantovani, dedicato al padre, tante notizie, tanti episodi e tanti aneddoti che hanno per protagonista Taiadela. Il tutto con un ricco corredo di belle foto inedite e con appendice di scritti suoi o a lui dedicati. L’insieme viene a fare giustizia anche di tutta una serie di inesattezze che spesso sono state scritte o dette nel tempo su quella caratteristica e tipica figura che è stato Taiadela, personaggio fino ai nostri giorni senza pari.

Vittorio Montanari

San Giorgio di Mantova
Settembre 1995